LA CORTE DI CASSAZIONE

    Ha  pronunciato  la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso
proposto  da  Kavalakis  Giovanni, elettivamente domiciliato in Roma,
piazza  Cavour,  presso  la Corte di cassazione, difeso dall'avvocato
Ermanno Dallorto, giusta delega in atti, ricorrente;
    Contro  Prefettura  Genova  in  persona del Prefetto pro rempore,
intimato,  avverso  la  sentenza  n. 1606/02  del  giudice di pace di
Genova, depositata il 31 maggio 2002;
    Udita  la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
15 febbraio 2006 dal consigliere dott. Luigi Piccialli;
    Udito  il  p.m.  in  persona  del  sostituto procuratore generale
dott. Riccardo   Fuzio   che  ha  concluso  sollevando  questione  di
legittimita' nei confronti dell'art. 3 della Costituzione.

                              F a t t o

    Con  ricorso  al  Giudice  di pace di Genova del 21 dicembre 2001
Giovanni  Kavalakis propose opposizione ex art. 22, legge n. 689/1981
avverso  l'ordinanza-ingiunzione in data 31 ottobre 2001 del prefetto
di  quella  provincia,  irrogante  la  sanzione  amministrativa di L.
4.000.000  per  la  violazione  di  cui  all'art.  116, comma 13 e 18
c.d.s.,  accertata il 30 giugno dello stesso anno, perche', munito di
patente  B  conseguita  nel  2000,  aveva  circolato alla guida di un
motociclo,  di potenza pari a Kw 19,50, necessitante della patente di
categoria A.
    L'opponente deduceva la non applicabilita' alla fattispecie della
menzionata  disposizione  ed,  in  via  subordinata  l'illegittimita'
costituzionale della stessa in relazione, gradamente, agli artt. 76 e
3  Cost.,  rispettivamente  per  «eccesso di delega» e violazione dei
principi di ragionevolezza ed di eguaglianza.
    Costituitasi    la    Prefettura,    contestava   il   fondamento
dell'opposizione, chiedendone il rigetto.
    Con  sentenza  del  3-31 maggio 2002 l'adito giudice, ritenuta la
manifesta   infondatezza   delle  questioni  di  costituzionalita'  e
sussistenti  gli  estremi  della  contestata  violazione,  respingeva
l'opposizione, con compensazione delle spese.
    Contro  tale  sentenza  il  Kavalakis  ha  proposto  ricorso  per
cassazione affidato a tre motivi.
    La Prefettura di Genova non si e' costituita.

                            D i r i t t o

    Con  il primo motivo del ricorso viene dedotta violazione e falsa
applicazione  dell'art.  116,  comma  13  e  18  c.d.s, mentre con il
secondo   e   subordinato   motivo   si   ribadisce   l'eccezione  di
illegittimita'   costituzionale,  in  rel.  all'art. 76  Cost.,  gia'
proposta  in  sede  di  merito,  qualora  si  renda  applicabile alla
fattispecie la suddetta disposizione.
    I  motivi  del ricorso sono accomunati dalla premessa, secondo la
quale nel riformulato testo dell'articolo 116 del «Nuovo Codice della
Strada»  (Decreto legislativo 30 aprile 1992 e successive modifiche),
derivante dall'art. 19 del d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, emesso in
virtu'  della  delega  disposta  dalla  legge  25 giugno 1999, n. 205
(«Delega  al  Governo  per  la  depenalizzazione  dei  reati minori e
modifiche  al  sistema  penale  e  tributario»),  non  avrebbe potuto
comprendersi  anche l'ipotesi di guida di motoveicolo di categoria A,
vale  a  dire  di  motocicli  di cilindrat superiore a 125 centimetri
cubici   e   di   potenza   superiore  ad  11  cavalli,  nella  quali
rientrerebbe, secondo l'ordinanza - ingiunzione opposta e la sentenza
di merito, la fattispecie di illecito contestata al Kavalakis.
    Il   ricorrente  prende  le  mosse  dalla  sentenza  della  Corte
costituzionale  10  gennaio  1997 n. 3, con la quale venne dichiarata
l'illegittimita'  dell'art. 116,  comma  13,  d.lgs. n. 285/1992, nel
testo  all'epoca  vigente, nella parte in cui assoggettava a sanzione
penale  colui  che, munito di patente di categoria B, C o D, guidasse
un  veicolo  per  il  quale  era  richiesta  patente  di categoria A,
soggiungendo che a seguito di tale pronunzia, come riconosciuto dalla
giurisprudenza  penale  di  questa S.C. (v. sez. 4ª n. 9729/1997), la
guida  di  motocicli,  richiedenti  la patente A, non costituiva piu'
reato.  Da  tale  premessa  deduce che, tenuto conto dei limiti della
delega,  contenuta nella citata legge del 1999, conferente al Governo
l'incarico  di depenalizzare, tra gli altri e salve alcune eccezioni,
i reati previsti dal suddetto codice della strada, non avrebbe potuto
essere  compreso,  nell'ambito  della  prevista  trasformazione delle
contravvenzioni    stradali    in   violazioni   amministrative,   un
comportamento,  come  quello nella specie ascritto al ricorrente, non
piu'  costituente  reato a seguito della citata pronuncia del giudice
delle leggi.
    Conseguentemente  la disposizione contenuta nell'art. 19 n. 1 del
d.lgs.  30  dicembre  1999 n.  507, attuativo della depenalizzazione,
che  nel  riformulare  l'art. 116  n. 13 e 18 del d.lgs. n. 285/1992,
introdusse un'ampia e genetica fattispecie di illecito amministrativo
per  i  vari  casi  di  guida di autoveicoli o motoveicoli senza aver
conseguito   la  prescritta  patente,  o  dovrebbe  considerarsi  non
applicabile  all'ipotesi,  gia' esaminata dalla Corte costituazionale
ed  espunta  dal  sistema penale, oppure, ove la prevedesse, dovrebbe
ritenersi  incostituzionale,  per  violazione  dell'art. 76 cit., per
ecceso rispetto alla delega suddetta.
    Il   legislatore  delegato,  in  altri  termini,  avrebbe  potuto
soltanto   trasformare   in  illeciti  amministrativi  i  soli  fatti
costituenti  reato  all'epoca  della  delega, ma non aveva poteri per
configurare ex novo ipotesi di illecito amministrativo, quale sarebbe
la   guida   con   patente  B  di  motocicli  di  cat.  A,  ancorche'
corrispondenti  a  fatti  originariamente configurati quali reato nel
«nuovo codice della strada» del 1992.
    Il  giudice  di  pace  non  avrebbe recepito tali argomentazioni,
perche'  fuorviato  da un errore di fondo, secondo il quale la citata
sentenza  della  Corte  costituzionale avrebbe eliminato la sola pena
dell'arresto dalla fattispecie di contravvenzione in questione, e non
anche  l'ammenda,  con conseguente persistenza della rilevanza penale
della  stessa  ed  inclusione,  a  pieno  titolo,  tra  le violazioni
depenalizzate nel 1999.
    Fatta tale premessa, va anzitutto osservato che l'interpretazione
«costituzionalmente  orientata»,  proposta  con  il  primo  motivo di
ricorso,  non  appare  nella  specie  praticabile,  non  essendosi in
presenza di una norma di incerta formulazione, che dia adito ad una o
a diverse ipotesi interpretative, tra le quali dovrebbe privilegiarsi
quella piu' aderente ai dettami costituzionali.
    Nel  particolare  contesto  normativo  del  codice  della strada,
vigente  all'epoca del fatto ascritto al Kavalakis, questo non poteva
che  essere  sussunto  sotto  la  previsione dell'art. 116, comma 13,
d.lgs. n. 285/1992, cosi come sostituito dall'art. 19, comma 1, lett.
a),  d.lgs.  n. 507/1999, contemplante quale illecito amministrativo,
sanzionato  con  il pagamento della somma da quattro a sedici milioni
di  lire  (oltre  al  fermo  amministrativo del veicolo, ai sensi del
comma  18),  il  fatto  di  chi conducesse «autoveicoli o motoveicoli
senza avere conseguito la patente di guida», considerato che tutte le
altre  analoghe  ipotesi  di  irregolarita',  in  relazione al titolo
abilitativo  di  guida,  erano  contemplate  dall'art. 125 del codice
medesimo,  prevedente, fin dalla sua originaria formulazione ed anche
all'esito   delle   successive   modifiche  (segnatamente  di  quelle
derivate,  in  attuazione  della  direttiva comunitaria del Consiglio
n. 91/439/CEE  29  luglio  1991,  dal  d.m. 8 agosto 1994, emanato ai
sensi  degli  artt. 229  del  codice  della strada e 406 del relativo
regolamento  di attuazione) quale illecito amministrativo, sanzionato
con  il  pagamento  di somme notevolmente inferiori a quelle previste
per  la guida senza patente, tutte le altre, specificamente indicate,
ipotesi  di guida di veicoli con patente diversa da quella prescritta
per  la  corrispondente  categoria;  e tra queste ultime non figurava
quella  relativa alla guida di motoveicolo di categoria A con patente
di  tipo B. («chiunque, munito di patente di categoria B, C o D guida
un  autoveicolo  per  il  quale  richiesta  una  patente di categoria
diversa da quella di cui e' in possesso...»).
    Conseguentemente,   tenuto  conto  che  la  disposizione  di  cui
all'art. 125  si  pone  in  rapporto di specialita' con quella di cui
all'art. 116, derogandovi solo per i casi tassativi in essa previsti,
la  fattispecie  di  guida  di  veicoli  di  categoria  A da parte di
soggetti  muniti  di  patente  B,  non poteva che ritenersi compresa,
peraltro  coerentemente  all'originaria  differenziazione  voluta dal
legislatore  del  1992,  nell'ambito della previsione generale di cui
all'art. 116, relativa alla guida di veicoli senza aver conseguito la
patente prescritta.
    Le   suesposte   considerazioni,  se  da  una  parte  inducono  a
disattendere  il  primo  motivo  di  ricorso,  dall'altra  comportano
l'accoglimento del secondo, con il quale viene rinnovata la richiesta
di   dichiarare   non   manifestamente   infondata,   in  riferimento
all'art. 76   della   Costituzione,   l'eccezione  di  illegittimita'
dell'art. 116, comma 13 e 18 c.d.s., nella parte riferentesi anche al
comportamento di chi, in possesso di patente B (o anche C e D), guidi
motoveicoli per i quali e' richiesta la patente di categoria A.
    La  rilevanza  della  questione  risulta  evidente,  tenuto conto
dell'infondatezza  del  primo motivo del ricorso e dell'incontroversa
circostanza  che,  nel caso di specie, il ricorrente, titolare di una
patente   di   categoria   B,   rilasciata  nel  2000  (e,  pertanto,
successivamente   all'entrata  in  vigore  della  legge  n. 111/1988,
introduttiva  della  c.d.  «patente europea», che aveva fatto salvi i
diritti  quesiti  dei  titolari  delle vecchie patenti), conduceva un
motociclo  di  potenza  pari  a  Kw 19,50, superiore dunque al limite
massimo  di  Kw 11, e pertanto necessitante, a termini dell'art. 116,
comma  3,  cosi  come  risultante  dalle  modificazioni in precedenza
menzionate, della patente di categoria A.
    La  questione,  d'altra  parte,  tenuto  conto  delle particolari
vicende  che  hanno  segnato  il  tormentato  percorso della norma in
esame, non puo' ritenersi manifestamente infondata.
    La  citata sentenza n. 3/1997 della Corte costituzionale (facente
seguito  ad  un  precedente  invito  al  legislatore, contenuto nella
sentenza    n. 246/1995    e    rimasto   inascoltato),   dichiarando
«l'illegittimita' costituzionale dell'art. 116, comma 13, del decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo Codice della Strada), nella
parte  in  cui  punisce  con la sanzione penale, colui che, munito di
patente  di  categoria  B,  C  o  D, guida un veicolo per il quale e'
richiesta  patente  di categoria A», produsse, ai sensi dell'art. 136
Cost.,  l'abrogazione  in  parte  qua,  a  partire  dalla  data della
pubblicazione  della  decisione,  della  norma  sopra  citata, con la
conseguenza che la condotta in questione non poteva piu' considerarsi
reato,  come successivamente dato atto dalla giurisprudenza, anche di
legittimita' (v. la gia' citata sentenza di questa S.C., sez. 4ª pen,
n. 9729/1997).
    A  tal  riguardo,  tenuto conto del riportato, inequivoco, tenore
del  giudicato costituzionale, va rilevata la palese erroneita' della
tesi  sostenuta  nella  sentenza  di  merito,  oggetto  del  presente
ricorso,  secondo  la  quale  la pronunzia della Corte costituzionale
avrebbe  eliminato  solo  la  pena dell'arresto, lasciando integra la
comminatoria   dell'ammenda   e,   pertanto,   la   rilevanza  penale
dell'illecito,   poi   a   pieno  titolo  depenalizzato  dal  decreto
legislativo 30 dicembre 1999, n. 507.
    In realta', avendo la suddetta condotta perso rilevanza penale, a
seguito  della  sentenza  n. 3/1997  del  giudice  delle  leggi,  ne'
avendola  piu'  riacquistata,  per  effetto  di successivi interventi
normativi  eventualmente  ripristinanti la stessa, deve ritenersi che
alla  data  del  conferimento  della  delega  al  Governo,  contenuta
nell'art. 5 n. 1, sub a) della legge n. 205/1999 in precedenza citata
e prevedente di «trasformare in violazioni amministrative ... i reati
di  cui  al  decreto  legislativo 30 aprile 1992 n. 285, ad eccezione
degli  artt. 14,  186, 187 e 189», la guida, con patente di categoria
B,  di  motoveicoli  richiedenti  la  patente  di  categoria  A,  non
rientrava  tra  i  fatti  costituenti  reato, a termini della vigente
disciplina  della  circolazione  stradale  e,  pertanto,  non avrebbe
potuto  essere  «depenalizzata»,  vale a dire trasformata in illecito
amministrativo dal previsto intervento legislativo delegato.
    Conseguentemente  non  implausibili  vanno  ritenute  le  censure
esposte  dal  ricorrente, quanto meno inducenti a dubitare seriamente
della  legittimita' costituzionale, tenuto conto delle regole dettate
dall'art. 76  della  Costituzione,  in  tema  di  delega  del  potere
legislativo  dal  Parlamento al Governo, m ordine all'inclusione, sia
pure  implicita,  della condotta in questione, tra quelle costituenti
illecito  amministrativo  ai  sensi  dell'art. 116  c.d.s., nel testo
sostituito  dall'art. 19  n. l del d.lgs. n 507/1999, per esorbitanza
rispetto    all'oggetto    della   delega   stessa,   prevedente   la
trasformazione  di  reati  in  illecito amministrativo e non anche la
introduzione di nuove figure di tale ultima categoria di illeciti.
    A   tal   riguardo   deve   anche   precisarsi  che  un'eventuale
interpretazione in senso lato, tale da comprendere nell'oggetto della
delega  in questione la totale revisione dei trattamenti sanzionatori
gia' previsti nel «Nuovo Codice della Strada», tenuto conto della sua
originaria  formulazione  di  cui  al  d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285,
comporta  un'approfondita indagine in ordine alle effettive finalita'
perseguite dal legislatore delegante, che esula dai compiti di questa
Corte,  tenuta  solo  alla  valutazione di non manifesta infondatezza
della questione.
    Il  presente  giudizio  va,  conseguentemente,  sospeso  ai sensi
dell'art. 23,  legge  11 marzo 1953, n. 87 e gli atti vanno trasmessi
alla Corte costituzionale, con i connessi adempimenti di legge.
    Resta, infine, assorbito l'esame del terzo motivo di ricorso, con
il  quale  viene  riproposta  la  questione,  palesemente subordinata
rispetto    a    quella    rimessa    alla    Corte   costituzionale,
dell'irragionevole   disparita'   di  trattamento  sanzionatorio,  in
violazione  dell'art. 3 Cost., della condotta ascritta al ricorrente,
in  quanto sussumibile nella previsione di cui all'art. 116, comma 13
e  18  c.d.s,  rispetto  a  quelle, oggettivamente piu' gravi ma meno
severamente   sanzionate,   configurate  dall'art. 125  dello  stesso
codice, per tutte le altre ipotesi di guida di veicoli con patente di
categoria diversa da quella richiesta.